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“Scrivere Dylan, così come leggerlo, è un po’ come sottoporsi a una seduta di psicanalisi”

La scrittrice mirandolese Barbara Baraldi è la nuova curatrice di Dylan Dog, il personaggio di Sergio Bonelli Editore creato da Tiziano Sclavi. “Sono dylaniata da sempre e questo incarico mi fa letteralmente tremare i polsi”.

Il futuro dell’Indagatore dell’Incubo è nelle sue mani ma, soprattutto, nel suo cuore. La scrittrice mirandolese di romanzi e sceneggiature di fumetto Barbara Baraldi è stata infatti nominata curatrice di Dylan Dog, il personaggio di Sergio Bonelli Editore creato da Tiziano Sclavi, prendendo il posto di Roberto Recchioni. “Sono dylaniata da sempre – sorride – e questo incarico entusiasmante mi fa letteralmente tremare i polsi”.

Animata da “una passione bruciante per le storie”, per Barbara scrivere, e ancor prima raccontare – è da sempre una necessità. “Sono la maggiore di quattro fratelli e già a nove anni per tenerli buoni, quando mia madre andava al lavoro, raccontavo loro delle storie spaventose, appagando così la loro fantasia. Dosavo suspense e colpi di scena e riuscivo a catturare la loro attenzione. Le storie mi hanno permesso di sopravvivere a quegli anni di baby sitteraggio ma, crescendo, i libri sono diventati il mio rifugio. Soffrendo di timidezza cronica ho sempre faticato ad approcciarmi agli altri. E’ un po’ come essere celata dietro a un muro che non ti permette di affacciarti oltre. Ricordo ancora le interrogazioni alla lavagna, il viso arrossato, la lingua appiccicata al palato, il corpo bloccato… La lettura era un rifugio, il posto sicuro dove non potevo essere giudicata né derisa. I personaggi dei libri erano amici. Da ragazzina leggevo fino a quattro libri a settimana, ero sempre in biblioteca, tanto che le addette nonostante il limite massimo del prestito fosse di tre libri mi concedettero la possibilità di prenderne uno in più. Quelle storie erano la mia casa, ovunque andassi avevo un libro con me”.

Poi, a sedici anni, Barbara inciampa su Dylan Dog con cui sin da allora ha stretto un legame profondo: “in paese ero quella stramba. Mi vestivo sempre di nero, abitavo – giuro, non è una battuta – nell’ultima casa a sinistra, in un paesino della Bassa dove trionfa la nebbia, avevo nove gatti quasi tutti neri, cuccioli di una gattina che avevo trovato abbandonata in un fosso, due cani, due oche… Io mi sentivo diversa e avevo la sensazione di vivere ai margini. Quando ho scoperto Dylan, mi si è aperto un mondo. L’immaginario orrorifico che veniva tratteggiato era quello che preferivo, il senso di appartenenza tra diversi che popolava quelle pagine mi faceva sentire a casa. A mio agio. E così, all’improvviso, i vestiti neri che mi cucivo da sola, i miei perenni anfibi ai piedi e la musica punk e new wave che tanto amavo non erano così male. Dylan Dog non è un supereroe. E’ umano, imperfetto. Claustrofobico, amante degli animali, vegetariano, dalla parte delle minoranze, dei diversi, delle persone sole… E poi c’erano i mostri che, spesso, in realtà, erano le vittime come ne Il ritorno del mostro, insomma lì dentro c’era tutto il mio mondo”.

In una realtà apparentemente costruita su “certezze che io non sentivo di avere, Dylan nutriva il dubbio. L’incertezza. I suoi finali non sono consolatori o all’insegna dell’happy end, spesso restano in bilico. Come sospesi. Per giorni quelle storie mi restavano attaccate addosso. Dylan mi ha fatta sentire riconosciuta e io sono dylaniata da allora. D’altronde si è dylaniati per sempre. Quando Dylan Dog entra nella tua vita, ci resta. Capita di litigare, di lasciarsi per un po’ ma poi passi davanti a un’edicola, lo vedi e senti forte il bisogno di… tornare a casa”.

L’esordio di Barbara Baraldi nel fumetto risale al 2011 con Bloodymilla poi, l’anno successivo entrò nello staff di sceneggiatori di Dylan Dog con la storia Il bottone di madreperla, disegnata da Paolo Mottura e pubblicata su Dylan Dog Color Fest 9. “Avevo giù mandato dei soggetti ma erano stati sistematicamente rifiutati. Poi mi resi conto che Dylan si era già misurato con tanti incubi e che quindi avrei dovuto scrivere qualcosa di più intimo. Dylan Dog mi ha sempre commosso e ricordando, ad esempio, Memorie dall’Invisibile, capolavoro scritto da suo padre, Tiziano Sclavi, e disegnato da Giampiero Casertano, ho capito che la forza delle storie risiede nella loro capacità di toccare le corde del cuore, di attingere a piene mani dal dolore. Un dolore che tutti sperimentiamo. E allora ne ho scritta una che racchiudeva un frammento di me”.

Barbara colleziona bottoni da quando era bambina. I suoi preferiti erano quelli tondi, di madreperla, perchè, spiega, “nelle mie tasche si trasformavano in brillanti pezzetti di luna capaci di farmi vincere le mie mille paure. C’era una merceria, nel mio paese, in cui andavo spesso insieme a mia nonna e mia madre, con al banco una vecchietta, e ho pensato, eccolo quo il mio soggetto. Un’anziana signora che ogni mattina, entrando nel suo negozio, è obbligata a raccogliere tutti i bottoni che qualcuno nella notte le scaraventa a terra. E allora, temendo che qualche strana creatura le stia facendo dei dispetti, chiama Dylan in suo aiuto per scoprire poi che non avendo potuto coronare il suo desiderio di avere un figlio, il marito defunto gliene ha donato uno per un giorno, Dylan Dog appunto”.

L’esordio di Barbara è coinciso con uno dei momenti più traumatizzanti della sua – e della nostra vita – il sisma che ha colpito l’Emilia nel 2012.
“Ero nella mia mansarda appena comprata, caldissima, quando nella notte tutto cambiò. Nulla era rimasto al suo posto, tutte le mie cose, faticosamente acquistate, erano cadute a terra, rotte. La libreria bloccava la porta e non riuscivo a scappare. L’urlo della terra, la sensazione di non riuscire a restare in piedi… quando finalmente riuscii a fuggire, corsi dall’altra parte del paese per vedere come stesse la mia famiglia dal momento che le linee telefoniche erano in tilt.
Dopo tante notti trascorse prima in auto e poi in tenda, nel mese di agosto sono riuscita a tornare a casa, nulla era rimasto intatto e ai miei piedi insieme ai cocci dei barattoli che li contenevano c’erano tutti i miei bottoni sparsi a terra. Pochi giorni dopo sono andata in edicola, ho comprato il numero di Dylan Dog con la mia storia e mi sono ritrovata davanti la scena dei bottoni. La splash page del mio primo albo riprendeva quasi esattamente la scena del mio rientro a casa. Quella mia prima storia, scritta ben prima del terremoto, mi ha aiutata ad elaborare il trauma che stavo vivendo”.

Da allora, il suo percorso come sceneggiatrice di Dylan Dog le ha consentito di mettersi alla prova su registri differenti “perché Dylan pretende sincerità e spesso mi sono ritrovata a elaborare il mio vissuto mentre lo accompagnavo nelle sue indagini. Il sisma ad esempio è stato l’incubo protagonista di Casca il mondo, disegnato da Bruno Brindisi. Tanti terremotati dell’Aquila mi scrissero dopo averlo letto, abbiamo pianto insieme. Scrivere e leggere l’horror è un modo per elaborare orrori e allenarsi alle paure reali”.

Anni fa Barbara ha avuto il privilegio, insieme a due colleghe, di raccontare attraverso Dylan Dog, una canzone di Vasco Rossi. “Scelsi Jenny è pazza, un brano pazzesco del ’77, da sempre nel mio cuore, dove si parla di depressione, ancora oggi uno stigma sociale, di non avere neanche più la forza di parlare… un testo fortissimo. Mi sono lasciata ispirare dalla canzone, senza smettere di pensare: Dylan Dog è l’indagatore dell’incubo e la depressione è un incubo tremendo. L’albo piacque a Vasco che mi taggò in un post nel quale raccontava la morte del padre e i terribili momenti di depressione che ha affrontato nel corso della vita. E’ stato un momento davvero toccante”.

E adesso, dopo undici anni di storie, Barbara Baraldi, è stata nominata curatrice di Dylan Dog: “c’è una frase di Joseph Campbell che amo molto e dice La caverna nella quale hai paura ad entrare, ha il tesoro che stai cercando. Questo nuovo incarico è quella caverna ma sono piena di entusiasmo perché amo Dylan. Lo amo come un fratello. Un mio simile”. Ma quale sarà ora il futuro dell’indagatore dell’incubo? “Voglio riportare in primo piano l’orrore, il genere che più di ogni altro ci permette di elaborare le paure, di rapportarci con l’inconscio e scavare nel rimosso. Dylan Dog è l’unico fumetto che ci permette di perdere certezze, di nutrire il dubbio e, al tempo stesso, di porci delle domande e fino a quando continueremo a farlo, rimarremo liberi. Scrivere Dylan, così come leggerlo, è un po’ come sottoporsi a una seduta di psicanalisi”.

A sceneggiatori e disegnatori Barbara ha chiesto storie memorabili, “storie per le quali essere ricordati. Ogni mese dobbiamo dare al lettore qualcosa in grado di portarlo via, che lo faccia svagare, pensare, divertire ma… con un brivido. Dylan Dog lo scegli, non ti capita per caso. Lo scegli perché ti cattura. Perché ti lascia un segno. Dobbiamo continuare a nutrire l’ossessione per Dylan”.

Essere dylaniati è per sempre ma come si fa a catturare i più giovani? “Ogni volta che vado al cinema a vedere un film horror so di essere la più grande in sala… intorno quasi solo ragazzi. L’attuale clima di incertezza che viviamo è doloroso e i giovanissimi cercano nell’horror un momento di svago, di allontanamento dalla realtà. E, perché no, di rivalsa, d’altronde spesso sono proprio i più Nerd ad avere la meglio sul mostro di turno e a sopravvivere. Se questi ragazzi daranno a Dylan una possibilità, sono certa che ne rimarranno intrappolati”.

Jessica Bianchi

(foto: ph. Ettone)

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