Home Sport Toscana Empoli F.C. EDITORIALE | “Dimmi cosa resterà se mando in fumo tutto adesso…”

EDITORIALE | “Dimmi cosa resterà se mando in fumo tutto adesso…”

Di Gabriele Guastella

Questa volta mi sono preso qualche giorno di silenzio e riflessione, per drenare tutta l’amarezza, tutta la delusione, e anche tutta la sofferenza sportiva e da appassionato, si intende, che si era accumulata soprattutto in questi ultimi mesi. Delusione e sofferenza che in realtà si erano depositate sopra a “centimetri” di scorie che già avevano lasciato le due stagioni precedenti, perché è vero ci siamo salvati sia con Paolo Zanetti al timone che poi con l’avvento di Davide Nicola, grazie alla zampata vincente dell’ultimo secondo.

Le due salvezze, i due traguardi raggiunti, in qualche modo è come se avessero mitigato e quasi cancellato tutta la stanchezza mentale che erano state assorbite nei mesi precedenti. Il gol di Niang al 93’ della sfida con la Roma è stata una botta adrenalinica di assoluto rilievo: lo testimonia il Fiume Azzurro che si è riversato sul terreno di gioco in quella notte di fine maggio, come poche altre volte è accaduto in precedenza; immagini e fotogrammi di gioia impazzita, fotoromanzo di una notte, liberazione in senso assoluto.

Pensavamo di aver vissuto la stagione più difficile e balorda, ed in un certo senso l’inizio di un’altra stagione sotto la guida di D’Aversa ci ha fatto cullare questo pensiero per qualche altra settimana. Poi, improvvisamente, tutto si è fatto più cupo, il cielo grigio, le nebbie dense, e le oscurità senza un’apparente via di uscita. Prigionieri un’altra volta, come la stagione precedente, forse peggio.

Infortuni a ripetizione, ginocchi e legamenti che saltano, stagioni che terminano anzitempo, e partite che sfuggono via al primo inciampo.
Siamo arrivati alla volata finale stanchi, sfibrati, numericamente ridotti ai minimi termini, quasi agonizzanti e, ammettiamolo pure con coraggio, con una stanchezza riferita non solo alla stagione appena conclusa ma alla somma delle altre due dove l’obiettivo è stato centrato ma provando a fare qualcosa di diverso, che alla fine dei conti non ha divertito.

Abbiamo visto cose egregie: innanzitutto le tre salvezze consecutive che hanno determinato il record di quattro permanenze di seguito in Serie A perché, se prima non ci eravamo mai riusciti, qualcosa vorrà pur dire; poi qualche vittoria di lusso: in casa dell’Inter, della Fiorentina e della Roma, il poker con la Juventus, il doppio successo con il Napoli pre-Scudetto, lo storico cammino fino alla semifinale di Coppa Italia. E poi abbiamo visto cose meno egregie: lo 0-7 di Roma e le cinque di fila senza neanche segnare un gol, venti giornate con quattordici sconfitte e neanche un successo, e complessivamente negli ultimi due tornei in 76 partite ben 41 sconfitte a fronte di sole 15 vittorie.
Ma la cosa meno egregia, forse, è che non siamo riusciti ad essere divertenti, in primis per noi stessi: ci siamo accartocciati alla ricerca del cercare di voler essere una squadra scorbutica e arcigna, affidandosi poi a tutto meno che ai centimetri ed ai muscoli. La storia fatta di centocinque anni di sacrifici, sudore e gloria è lì a ricordarci tutto: ci ricorda che le imprese migliori le abbiamo fatte con coraggio e perseveranza, con equilibrio e saggezza, e pensando che prima di tutto si deve essere uno “spettacolo” ovunque, comunque e per chiunque.

È anche per questo modo di essere che possiamo andar fieri della nostra storia, fatta di successi e sconfitte, promozioni e retrocessioni, applausi scroscianti nei giorni di festa ed in quelli tristi.

E poi c’è un’altra grande caratteristica. Nelle nostre retrocessioni c’è sempre una rinascita, ecco questo è il segnale che conta davvero. La compattezza di intenti, l’accartocciarsi che prima rammentavo che diventa adesso un compattarsi in un’unica cosa: il club, la squadra, la città, i tifosi, e poi le aziende, i punti di riferimento che fanno quadrato ed insieme superano una difficoltà e decidono quanto può esser bello riprovarci ancora.

Adesso le scorie e le delusioni sono già da parte: fermiamoci un attimo anche solo un secondo a riflettere. È proprio adesso che arriva il bello: uno stadio da costruire, una nuova casa per cui ogni singolo sportivo, tifoso, cittadino di Empoli e di tutto il comprensorio potrà andar fiero, nel mettere il proprio “mattoncino”. Un campionato di Serie B che nel 1996, trent’anni fa esatti, era visto come un miraggio e che oggi rappresenta una base di ripartenza.

Fuori l’entusiasmo ragazzi, perché è in questi momenti che si fa la differenza. Onestamente mi sono sbarazzato di questi ultimi tre anni vissuti bene fuori, ma male dentro. Con l’angoscia di non poterci divertire, ancora, come prima o forse più di prima. Sono passati dieci giorni da una doppia retrocessione, tra prima squadra e Primavera in meno di quarantotto ore, ma onestamente non vedo l’ora di ricominciare.

Non vedo altri posti migliori di vivere e provare a fare calcio con coraggio come qui, qui in questa valle immersa tra vigneti e ulivi, immersa nel verde che neanche ce ne rendiamo conto: dove se vogliamo possiamo esprimere essenza di appartenenza per tutto; dal singolo tifoso e sportivo, dalla proprietà, dai soci, dai singoli sponsor e partner; dove c’è tanto di Empoli e del suo comprensorio, c’è tanto della sua storia, del suo passato, delle sue radici e tradizioni.

Ecco in un Mondo che vorticosamente viaggia a chilometri di distanza mi chiedo dove si può ritrovare un’opportunità così grande, del poter fare qualcosa di grande in casa nostra… “dimmi cosa resterà se mando in fumo tutto adesso…”.

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