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Incidenti sul lavoro: Intervista all’ex Ministro del Lavoro e ora nel C.d.A. dell’INAIL Cesare Damiano: “vogliamo l’Impresa Sociale e una Patente a punti”

E’ allarmante la scia di incidenti sul lavoro che la cronaca ha riportato e riporta in questa lunga estate. Numerose le morti bianche. Solo ieri, lunedì 13 settembre, un operaio appena 27enne ha perso la vita sull’A1. Il giovane nel primo pomeriggio era al lavoro su un grosso mezzo per segnalare un cantiere fra il casello di Parma e il bivio con l’A14 Parma-La Spezia quando è stato travolto da un camion. E’ deceduto sul colpo. La vittima si chiamava Mariano Laino di origini calabresi. Viveva nel piacentino.

Il nostro approfondimento legato proprio agli incidenti sul lavoro prosegue con la testimonianza dell’ex Ministro del Lavoro (nel corso del suo incarico ha firmato il famoso Decreto 81, il Testo Unico sulla Salute e sulla Sicurezza sul Lavoro) e oggi nel C.d.A. dell’INAIL. Una lunga chiacchierata che offre molti spunti di riflessione e in cui l’On Damiano si mostra particolarmente critico col sistema. Il mondo del lavoro è sempre stato per lui una missione, come si evince dall’intervista

Innanzi tutto una fotografia sulla situazione attuale, anche se ovviamente non aggiornata sugli ultimi accadimenti

I dati direttamente dal sito ufficiale INAIL: “Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra gennaio e luglio sono state 312.762 (+8,3%) rispetto allo stesso periodo del 2020), 677 delle quali con esito mortale (-5,4%). In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 33.865 (+34,4%). I dati mensili sono fortemente influenzati dall’emergenza Coronavirus

“Naturalmente potremmo anche aggiungere che siamo in una situazione molto particolare, segnata da lockdown, riprese, chiusure, aperture,.. che incidono ovviamente su questi fattori di rischio. In più dal momento che l’anno scorso la legge ha equiparato il Covid ad infortunio, è evidente che tutto questo ha anche una ripercussione di carattere statistico.. Nel 2020 diciamo che ascrivibili al Covid sono un quarto degli infortuni. Per quanto riguarda la mortalità, un terzo è riconducibile al covid. E’ evidente che si tratta di dati che avrebbero bisogno di molto approfondimento. Però quello che vorrei sottolineare è che purtroppo la ripresa produttiva è segnata da un aumento degli infortuni (+ 8,3%). Questa mi sembra la prima segnalazione da fare. Diminuiscono gli infortuni mortali, ma non dimentichiamo le ultime morti bianche. Si sta viaggiando a tre decessi al giorno ormai da anni, tra quelle che avvengono sul luogo del lavoro e quelle invece in itinere, cioè nel percorso casa-lavoro-casa. Questo non lo dobbiamo mai dimenticare.”

Da alcune parti si è sollevata la riflessione che si continua a morire o ferire gravemente come accadeva 50 anni fa, quando ancora di formazione non si parlava e quando la comunicazione non era ancora così massiva

“Il Ministro Brunetta (attualmente Per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, n.d.r.) ha detto una cosa giusta “Draghi ci fa crescere come cresceva l’Italia nel boom economico, all’inizio degli anni ‘60”. Questo è vero e aggiungerei ‘non dimentichiamo che noi partiamo da un -10 nel senso che quando si parte dalla cantina, c’è sempre spazio per arrivare all’attico. Quindi fatta questa debita osservazione, è evidente che abbiamo una spinta importante di crescita, ma non poteva essere altrimenti con quella montagna di denari che vengono investiti e col fatto, lo ripeto, che siamo partiti dalla cantina. Quindi un – 10 di prodotto interno lordo. Perciò la risalita è abbastanza evidente. Io aggiungo a questa affermazione di Brunetta ‘speriamo che questa crescita, tipo boom dell’economia, non sia quella di quegli anni, con i morti di quegli anni. Allora chi le ha detto che siamo tornati agli anni ’60 dice una cosa sbagliata, bisogna studiare bene i dati  e sapere di cosa si parla. Io cito un esempio: all’inizio degli anni ’60 avevamo 4 mila morti l’anno, 11 al giorno. Non c’erano quelle leggi, quella contrattazione, quella prevenzione e anche quella visione da parte delle imprese, che c’è oggi. Quindi 4 mila. Adesso siamo a mille. Mille è un quarto di 4 mila. Quindi non è vero che dagli anni ’60 ad oggi non sia stato fatto niente.

C’è stata la 626 (legge 626/94 –  Lo scopo di questa legge – come leggo e riporto testualmente –  fu quello di mettere l’Italia alla pari con gli altri paesi europei in materia di sicurezza sul lavoro. La Legge 626 ha introdotto elementi importanti, tra cui la figura dell’RSPP, la figura dell’RLS, il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e il Servizio di Prevenzione e Protezione. Altro cambiamento importante arrivato con la Legge 626 prevede che il datore di lavoro stesso, sia responsabile della sicurezza sul luogo di lavoro, mentre con la legislazione precedente, era “debitore della sicurezza nei posti di lavoro”. Allo stesso modo, con la Legge 626 diventa obbligatoria anche la redazione del Documento di Valutazione dei Rischi. N.d.r), c’è stato il Decreto 81 (lo stesso a cui lo stesso Damiano ha posto la firma nel 2008, n.d.r), ci sono state le contrattazioni, c’è stata la presa di coscienza negli anni ’70 dell’incidenza dell’attività produttiva sulla salute delle persone, sull’integrità psicofisica dei lavoratori, c’è stata una evoluzione culturale che ha portato ad un abbassamento notevole del numero degli incidenti sul lavoro. Prima del 2008, quando ho varato, da Ministro del Lavoro, in ‘articulo mortis’ visto che il Governo non c’era più, si era semplicemente in una gestione tecnica prima di arrivare alle elezioni ( tra il Governo Prodi e il Governo Berlusconi. Le elezioni si svolsero il 13 e 14 aprile n.d.r) avevamo ancora 1.600 morti all’anno, 4-5 al giorno. E’ evidente che vogliamo tendere allo zero, ma se vogliamo fare un’analisi storica statistica, gli anni ’60, 4mila morti fino al 2008, 1.600 morti dopo il 2008. I dati sono ancora molto alti,  con i circa mille morti all’anno. Una cifra spavenosa

Arriviamo proprio al ‘suo’ Decreto 81, il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro. Ancora oggi è un punto di riferimento

Sicuramente è e rimarrà una bussola, che ha comunque bisogno dei suoi aggiornamenti. Ad esempio manca ancora una parte delle deleghe contenute nel Decreto, una delle quali è la cosiddetta ‘Patente a punti’, che io vedrei molto bene. Si tratterebbe di innestare ulteriormente nel sistema, un principio di ‘premio/punizione’. Chi si comporta bene, chi fa prevenzione, chi la certifica, chi investe in prevenzione, ha il diritto di avere un punteggio per entrare in un appalto, ha il diritto ad avere un canale di prelazione. Chi al contrario si comporta male… ovviamente no. Io sono per incentivare i buoni comportamenti. E la Patente a Punti potrebbe essere una soluzione”

A proposito di aggiornamenti apportati al Decreto, le chiedo conferma su uno di questi. E’ vero che con quello del 20112 si è posta l’attenzione per la prima volta sullo stressa del lavoratore?

“Lo stress lavoro correlato era già contenuto nel Decreto. Ci sono state dopo il 2008 delle correzioni non sempre per rendere più robusto lo stesso. C’è stato anche il tentativo di indebolirlo, di riequilibrarlo, ritenuto troppo a vantaggio dei lavoratori. In ogni caso l’impianto ha tenuto, però noi siamo di fronte a nuove sfide. Per quanto riguarda l’INAIL(io sono nel Consiglio di Amministrazione) credo che il compito sociale dell’Istituto sia quello di utilizzare le risorse che arrivano dalle aziende e che sono importanti e che ci consentono di avere un avanzo di bilancio di un miliardo e mezzo l’anno. Questo ci consente di depositare presso la Tesoreria 34 miliardi accumulati negli anni (che rendono zero all’Istituto) e trasformare una parte di quelle risorse in ulteriore prevenzione. Altrimenti se il Ministero dell’Economia e delle Finanze che ci vigila insieme al Ministero del Lavoro, ci impedisce di spendere quei soldi per fare prevenzione io mi domando: Se le imprese versano quei soldi all’INAIL e l’obbiettivo dell’Istituto è la prevenzione, se noi quei soldi li risparmiamo, qual è il problema? Diminuire il debito dello Stato perché così funziona o fare prevenzione? Altrimenti se quei soldi servono a diminuire il debito dello Stato diciamo chiaramente alle imprese ‘state pagando una tassa, non state pagando prevenzione’.

Fare prevenzione vuol dire pagare i macchinari all’impresa che decide di investirli così, su macchinari appunto, sofisticati tecnologicamente, che posseggono un cip di sicurezza per evitare che accadano disgrazie come quelle piante alcune settimane fa, di lavoratori e lavoratrici impigliati, incastrati e deceduti per la gravità dell’incidente. Prevenzione è anche inserire cip nei caschi di protezione, nelle scarpe antinfortunistica, nelle imbragature, utilizzarli nei nei cantieri edili, con un computer che capisca se questi presidi di sicurezza individuali vengono utilizzati dal lavoratore. Non si investe in questa direzione, quindi non in piani di prevenzione a vantaggio delle imprese, in parte pagati dall’INAIL e non si investe nel miglioramento delle tariffe di rimborso o risarcimento per i superstiti in caso di morte del lavoratore oppure per una invalidità permanente o temporanea, totale o parziale a favore dei lavoratori o per una malattia professionale”

Onorevole Damiano, parliamo di Formazione, un termine oggi sulla bocca di tutti e che fa sorgere spesso tante domande

La Formazione ormai è un tema oggi diventato un ‘must’, come dice lei, tutti ne parlano. Intanto diciamo che la Formazione può essere di due tipi, quella per i formatori e quella per i discenti, chi frequenta il corso. Si fa molta formazione inutile, scollegata dagli obbiettivi di mettere in contatto l’offerta con la domanda di lavoro, di fare una seria prevenzione sul lavoro. Alle volte è più forte l’interesse per il certificato di carta che non per fare vera formazione. E’ una scommessa molto importante. Il Decreto 81 ha fatto del tema della Formazione, della Prevenzione, un tema molto forte, ma bisogna migliorare questi ambiti. La Formazione sta diventando fondamentale per fare in modo che chi è diventato disoccupato trovi un lavoro e chi un lavoro ce l’ha, riesca a mantenerlo aggiornando il suo profilo professionale a fronte di una evoluzione tecnologica così considerevole. Non è un caso che nel PNRR(Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) sono previsti 4/5 biliardi di euro per la Formazione, riconosciuti sotto l’acronimo GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori n.d.r.) proprio per fare dosi massicce di formazione come elemento guida nella transizione ecologica, digitale, infrastrutturale. Perché se tutto cambia è necessario che le persone siano pronte al cambiamento. E’ evidente che senza essere ossessionati dalla novità tecnologica, bisogna comunque stare al passo coi tempi. Quindi la formazione è fondamentale per la Salute/Sicurezza, una Formazione vera che consenta di avere tutti gli elementi di precauzione necessari, perciò investimenti in tecnologia moderna”

Scorrendo il suo status professionale, il suo percorso nel tempo, tutto sembra essere centrato proprio sul tema ‘Lavoro’

E’ vero. Il primo lavoro regolare l’ho avuto a 20 anni in una multinazionale metalmeccanica, ero contabile industriale. 800 gli impiegati e sono stato io a scegliere l’ambito, quello dell’Industria e non quello della Pubblica Amministrazione. Di lì il Sindacato, la FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici n.d.r.) in cui ho militato per ben 30 anni e una giusta gavetta, da delegato di base a Segretario Generale Nazionale. Ho stipulato tutti i contratti di lavoro degli anni ’90, insieme ovviamente a quelli che facevano parte delle delegazioni. Poi sono stato eletto Ministro del Lavoro, Presidente della Commissione Lavoro. ( a fine 2001 fu eletto nella Segreteria nazionale dei Democratici di Sinistra quando Segretario era Piero Fassino n.d.r.), come si vede il termine ‘lavoro’ è ricorrente. Ora son presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare. Insomma è la passione della mia vita, mi sono nutrito di ‘lavoro’. E cerco sempre di avere opinioni in equilibrio fra le ragioni del lavoro e dell’impresa. Però io sono della vecchia scuola che credo sia al contrario, di grande modernità. Confermando senza dubbio che in un rapporto di lavoro c’è sempre una parte debole, il lavoratore, e chi, l’imprenditore, ha il comando d’impresa, perciò  chi comanda e chi deve giustamente obbedire sulla base di diritti e doveri. Io ho scelto di avere una particolare attenzione verso chi lavora, senza disconoscere la volontà competitiva dell’impresa. Io ad esempio sposo molto le tesi dei nuovi Amministratori Delegati degli Stati Uniti, della Business Round Table (“Le corporazioni statunitensi svolgono un ruolo vitale nella società americana come motori di creatività, innovazione e opportunità economiche. Il successo a lungo termine di queste aziende e dell’economia statunitense dipende dall’investimento delle imprese nella sicurezza economica dei propri dipendenti e delle comunità in cui operano” n.d.r. dal sito ufficiale). 200 gli A.D. che hanno detto una cosa rivoluzionaria anche se per ora è solo una questione di parole: “Prima vengono i lavoratori, la loro competenza, l’affidabilità, la loro Protezione. Da ultimo vengono gli azionisti. E’ una tesi rivoluzionaria. Purtroppo alla GKN Campi Bisenzio (la multinazionale britannica che nel luglio scorso ha annunciato 422 licenziamenti via mail e WhatsApp nella sede fiorentina) questa convinzione non ha ancora trovato spazio. Certo tra il Dire e il Fare , come dice il proverbio, c’è di mezzo il mare, ma noi siamo testardi e vogliamo l’Impresa Sociale e un lavoro che sia protetto, fatto di diritti e di doveri. Le nuove scuole stanno trasformando il diritto del lavoro in diritto commerciale e si sa che tra la parola ‘persona’ e la parola ‘merce’ c’è una bella differenza”

Patrizia Santini

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