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Un virus misterioso… per ora

La battaglia contro il Covid-19 è appena iniziata e questo virus resta perlopiù “sconosciuto”. le incognite sono il lungo tempo che occorre a negativizzarsi e l’immunizzazione. Gli anticorpi sviluppati da coloro che hanno contratto la malattia li renderanno immuni per tutta la vita o solo per un lasso di tempo limitato? A rispondere è il professor Andrea Cossarizza di Unimore, docente di Patologia Generale in prima linea nella ricerca sul SARS-CoV-2.

La battaglia contro il Covid-19 è pressoché appena iniziata e dunque questo virus resta ancora perlopiù “sconosciuto”. Poche le risposte e numerosi gli interrogativi: “io faccio lo scienziato e non l’indovino, dunque per avere risposte e certezze occorre ancora tempo”. E’ lapidario il professor Andrea Cossarizza di Unimore, docente di Patologia Generale in prima linea nella ricerca sul SARS-CoV-2. I ricercatori e i clinici dell’Ateneo di Modena e Reggio e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena hanno già ottenuto alcuni importanti dati scientifici sulle modificazioni del sistema immunitario indotte dal virus ma è ancora prematuro cantar vittoria.

Raccogliere il numero maggiore di informazioni possibili è cruciale per capire l’immunopatogenesi dell’infezione da covid 19 ma restano numerose le zone d’ombra.
“Questo virus è particolarmente problematico non tanto per i danni che comporta di per sé, quanto per la drammaticità della risposta immunitaria che è capace di scatenare. E’ un po’ come se alle Olimpiadi, ad Usain Bolt, distrutto dopo aver corso i 200 metri e ormai privo di ogni energia, qualcuno dicesse ma come, perché ti fermi, non vedi che questa è una maratona? Con questo virus accade un po’ la stessa cosa: alcuni individui dopo essere entrati in contatto col virus sparano in un sol colpo tutte le cartucce a disposizione. La loro risposta immunitaria è talmente violenta che, in alcuni casi, può ucciderli in pochi giorni, un tempo rapidissimo”.

Gli anticorpi sviluppati da coloro che hanno contratto e superato la malattia li renderanno immuni per tutta la vita come accade per altre patologie o solo per un lasso di tempo limitato?
“Non ne abbiamo idea, al momento non vi sono evidenze di alcun tipo. Non si mette il carro davanti ai buoi e chi ha messo gli anticorpi davanti al virus ha sbagliato di grosso. Tutti noi auspichiamo che si possa sviluppare un’immunità permanente ma prima di affermarlo occorre dimostrarlo”.

Aldilà dei casi accertati ufficiali di positività avete un’idea di quanti in realtà possano essere entrati in contatto col virus? Considera affidabili i risultati delle campagne di screening per rilevare gli anticorpi nella popolazione?
“Non sono un epidemiologo quindi non posso dare indicazioni, perché non parlo mai di cose che non conosco bene, di certo è un numero molto elevato. Per quanto riguarda il capitolo screening credo vi siano due problemi di fondo: da un lato abbiamo la necessità di utilizzare test attendibili al 99%, e oggi non è così, il secondo è che non sappiamo se tutte le persone che entrano in contatto col virus sviluppino anticorpi o al contrario una risposta immunitaria insufficiente. Inoltre non abbiamo risposte circa l’eventuale capacità protettiva di tali anticorpi né, tantomeno, della sua durata. Avere anticorpi contro l’Hiv, ad esempio, non protegge dallo sviluppo dell’Aids mentre al contrario nel caso dell’Epatite B sì. Sul SARS-CoV-2 non abbiamo risposte in tal senso. Non dimentichiamoci che stiamo studiando questo virus da poco più di un mese. Per conoscerlo meglio occorre tempo così come ne serve altro per arrivare a un vaccino”.

Dunque quando la politica parla di favorire l’immunità di gregge in modo controllato attraverso la riapertura progressiva del tessuto produttivo in realtà non è supportata da alcuna evidenza scientifica…
“Non abbiamo alcun elemento per affermarlo. Se il virus non induce una risposta immunitaria efficiente in tutte le persone, gli anticorpi prodotti naturalmente potrebbero servire a poco e dunque l’insorgenza della immunità di gregge potrebbe essere molto difficile. Un altro paio di maniche è se viene fatto un vaccino che stimoli in modo mirato alcune componenti del sistema immunitario che potrebbero essere più capaci di dare protezione. Avere un vaccino efficace è una strada complessa: serviranno molti sforzi e un importante impegno da parte di tutti noi, ma non ho dubbi che ci arriveremo presto”.

Tra le incognite legate al SARS-CoV-2 vi è anche il lungo tempo che occorre a coloro che sono stati infettati a negativizzarsi. Vi sono persone che a un mese di distanza dalla comparsa dei sintomi, anche lievi, sono ancora positive.
“Un fenomeno – risponde il professor Cossarizza – per il quale non abbiamo ancora una spiegazione. Probabilmente vi saranno fattori genetici che influenzano la risposta individuale di ciascuno al patogeno, ma d’altronde questa affermazione è un’ovvietà, qualunque risposta immunitaria infatti è basata sulla genetica dell’ospite”.

Una cosa è certa, prima che la strategia di aggressione al virus mutasse, ovvero prima che si andassero a cercare i positivi nelle loro case per limitare complicanze ed eventuali ospedalizzazioni, molti contatti e familiari di malati non sono stati sottoposti a tampone e dopo i canonici 14 giorni di isolamento sono tornati al lavoro.

Questo di certo non ha aiutato ad arginare i contagi dal momento che potevano essere tanto asintomatici quanto positivi.
“Per avere delle risposte bisogna analizzare qualche decina di migliaia di persone. Solo così avremo le idee più chiare su come reagisce l’organismo entrando in contatto con questo patogeno. Noi da quattro settimane abbondanti praticamente viviamo in laboratorio, dove stiamo studiando letteralmente di tutto, giorno e notte. Siamo immersi in un lavoro complicato e faticoso ma sono in arrivo alcune novità importanti che vedrete molto presto. Questo è un momento storico, ricordiamoci che l’ultima pandemia che ha sconvolto il mondo risale a 100 anni fa e viaggiava sulle navi, sui treni… Quando il covid-19 ha fatto la sua comparsa in Cina, noi eravamo purtroppo abbastanza sicuri che sarebbe arrivato sin qui e presto. Era matematico, e quindi abbiamo attrezzato il nostro laboratorio in modo adeguato, restando in attesa che il virus facesse il suo ingresso in Italia, e quindi da noi. E così purtroppo è stato. Ma non ci siamo attrezzati in tempo solo noi ricercatori: anche il sistema sanitario locale e regionale ha retto bene un urto dalla violenza inaudita”.

Professore, crede che il peggio sia passato?
“Non lo so, spero di sì, anche perché, come tutti, avrei voglia di poter andare a cena fuori… comunque stiamo attenti, perché la ripresa sarà una grossa sfida, e sarà cruciale tenere alto il livello di attenzione”.
Insomma, So di non sapere è l’unica certezza di socratica memoria che abbiamo. Questo virus resta ancora perlopiù avvolto dal mistero e dunque la prudenza è d’obbligo. “So di non sapere – ma solo per ora”, conclude Andrea Cossarizza.

Jessica Bianchi

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